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Violare le policy aziendali può giustificare la sanzione del licenziamento

Con la sentenza n. 6827/2024, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha dichiarato che non può ritenersi illegittimo il licenziamento del soggetto che ha tenuto una condotta totalmente contraria alla prassi e alle regole aziendali, esponendo l’azienda al rischio di subire un ingente danno economico nonché sanzioni amministrative.  

Il caso riguarda due dipendenti – un impiegato commerciale e un magazziniere – licenziati per aver operato in modo gravemente difforme rispetto alla policy aziendale. 
Nello specifico, la condotta contestata era “il caricamento su automezzo destinato a uno specifico cliente (fermato a seguito di ispezione) di merce di significativo valore commerciale (lamiere) non corrispondente ai documenti di trasporto e di maggior valore rispetto a quanto ivi indicato”.

La gravità della condotta contestata derivava dal fatto che a causa della stessa l’azienda aveva rischiato di subire un danno economico grave e, altresì, di vedersi comminata delle sanzioni amministrative, in quanto la merce circolava con documenti di trasporto irregolare.

Il licenziamento veniva impugnato da entrambi i soggetti, sostenendo l’illegittimità dello stesso, ma sia il Tribunale sia la Corte d’Appello rigettavano i ricorsi.  
Gli ex dipendenti, pertanto, impugnavano la sentenza di secondo grado innanzi alla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, sostenendo che la stessa fosse errata in quanto i giudici di seconde cure avevano ritenuto che la sanzione disciplinare non conservativa irrogata fosse proporzionata alla condotta contestata, violando – così – le disposizioni del CCNL.

La Suprema Corte, interpellata dai ricorrenti al fine di verificare il sopra esposto presunto errore della Corte di Appello per aver ritenuto la sanzione del licenziamento proporzionata alla condotta dei dipendenti, si pronunciava, affermando il seguente importante principio.

La “giusta causa di licenziamento” e la “proporzionalità della sanzione disciplinare” devono considerarsi “clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”. 

La disapplicazione di queste specificazioni del parametro normativo può essere dedotta in sede di legittimità come violazione di legge.
Non può, invece, essere oggetto di accertamento da parte della Suprema Corte la concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreata attitudine a costituire giusta causa di licenziamento.

Invero, in linea generale, “in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito”.
Dichiarati inammissibili tutti i motivi, i ricorsi venivano rigettati, confermando la sentenza di secondo grado con cui i licenziamenti erano stati dichiarati legittimi.

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